Nota a margine tecnologico-metodologica: per la prima volta ho deciso di non portare il computer, ma di provare a sopravvivere durante la conferenza (attività tipiche: prendere appunti, rispondere a un po' di mail con scocciature che ti aspettano al ritorno, al limite editare qualche file di testo) solo con l'ipad mini. Mi sono fatto comprare da Anna, la regina di amazon, una tastiera esterna Bluetooth (molto bella) e via. Vi farò sapere!
Ieri l'inizio del viaggio è stato dei peggiori, con il gelo su New York che ha impedito la partenza in orario e mi ha costretto a 6 ore di nulla cosmico a Malpensa. Con la prospettiva, già nota, di perdere la coincidenza da New York per Las Vegas e di dover passare una notte nei pressi dell'aeroporto in attesa di una ricollocazione su altro volo. Ora scrivo questa nota proprio da questo altro volo, che mi ha visto partire stamani alle 8 e che tra un'ora e mezza mi lascerà nella mecca del divertimento.
La prima sensazione è quella di vuoto totale che ho affrontato a Malpensa ieri. Nonostante avessi da lavorare (apprezzate, cari 25 lettori, il mio ufficio mobile approntato per l'occasione!) e abbia lavorato, c'è stata quella particolare sensazione di sospensione del tempo, dell'essere ostaggi della situazione che solo gli aeroporti sanno dare. Se poi si tratta di Malpensa, l'aeroporto più triste e spoglio del pianeta, la sensazione si moltiplica. A proposito: a due mesi dall'inizio ho potuto ammirare l'aeroporto di expo: un gruviera fatto di lavori in corso e incompiutezza. Il confronto col JFK, dove sono poi arrivato è assolutamente improponibile. Speriamo bene, ma la figuraccia internazionale inizia a stagliarsi davanti agli occhi anche di un expottimista come me.
Ho volato con Delta, una compagnia americana: ottimo volo, confortevole. Mi hanno abbottato come un porcello, forse perché si sentivano in colpa? - mi hanno nutrito praticamente di continuo. Io intanto, stravolto dalle ore di nulla precedenti, ho pensato di mettere a cuccia il cervello (se presente) con un en plein di film: in rapida successione mi sono sparato Lucy (in italiano, bel film, assurdo ma bel film), the giver (sempre in italiano) che è stato la rivelazione del viaggio (molto affascinante e con richiami filosofici a Schopenhauer e all'idea del velo di Maya da squarciare) ma soprattutto ho visto transformer 4 (questo in inglese, ho pensato che visto il filmone, potesse essere possibile capirlo anche in inglese - è così è stato, essenzialmente si picchiano). Definire transformer 4 rievocando il mitico giudizio fantozziano sulla Corazzata Potemkin è assolutamente legittimo. Tra l'altro la durata è simile, non finiva mai!
Arrivato al JFK resto assolutamente stupito dalla velocità con cui vengo ammesso sul suolo americano dall'efficentissima dogana statunitense. La scena quando si arriva è mostruosa: dai corridoi letterali fiumi di gente vengono riversati in un enorme salone, vengono smistati e di ciascuno vengono prese impronte digitali delle 2 mani e viene fatta una foto del volto. Quando si osserva la coda, si immagina che passeranno ore prima del proprio turno, in realtà io sono passato in circa 20 minuti. Il bagaglio era già arrivato (altro fenomeno che lascia basito un italiano, abituato a vivere l'attesa davanti ai nastri trasportatori con il fatalismo di chi attende la pioggia durante l'estate nel Botswana: sai che la stagione delle piogge potrebbe arrivare prima o poi, ma sai anche che sarà più poi che prima). Al banco della Delta mi organizzano il trasferimento con uno shuttle bus in albergo ed esco nella notte newyorkese. Capisco immediatamente perché non si potesse atterrare: il freddo spezza il fiato (ed io, convinto di proseguire per Las Vegas sono vestito davvero leggero).
Un po' di sano cameratismo si instaura tra gli altri derelitti, ormai provati da una giornata che nel mio caso è durata circa 22 ore, si chiacchiera e ognuno pensa al volo del giorno successivo su cui ciascuno è stato collocato: nel mio caso vado a dormire alle 23 e dovrò essere in aeroporto alle 6.
L'albergo è vicinissimo al JFK, quindi nel quartiere del Queens. Già quando nel 2005 venni a New York con Anna, e perdemmo il volo di ritorno per un misunderstanding sul terminal di partenza, ci avevano collocato qui. Le casette del Queens hanno una loro poesia, tutte identiche che si susseguono, coi loro giardinetti e le macchine parcheggiate fuori, ieri sera ingentilite da un copioso strato di neve, che rende l'atmosfera magica. Se non fossi stato così stravolto, avrei persino potuto ipotizzare una passeggiata per queste strade tutte uguali. Invece salgo, faccio la doccia, decido di saltare la cena (come detto, ero stato ben abbottato in aereo) e crollo letteralmente su un lettone gigantesco in mezzo a un numero di cuscini che supera abbondantemente il numero di cuscini complessivi che una famiglia in media possiede. Lascio la tenda della finestra aperta: si vede il parcheggio, sì, ma in lontananza si vede benissimo l'empire state building e si intuisce la sagoma, per me nuova, di One word trade center. Mi lecco i baffi pensando che sabato mi aspettano - se non sorgeranno nuovi imprevisti - 15 ore di sosta a New York, e che andrò a verificare di persona come sia il nuovo skyline e crollo nelle braccia di Morfeo. Jet leg? Non conosco questa parola, dopo la giornata campale!
Appena sveglio mi godo il caffè americano che mi sono preparato: adoro la presenza della macchinetta e di qualche busta di caffè che sempre allieta le stanze degli hotel usa, precipito nella hall, e torno al JFK con lo shuttle bus mentre osservo il traffico del Queens che si risveglia. Prima colazione americana in aeroporto (mille posti tra cui scegliere, tutti invitanti e a prezzi accessibili, penso, e scuoto il capo ricordando la terrificante pizza di mychef che ho mangiato a Malpensa pagandola come una cena bistellata): toast con frittatina e bacon e nuova dose gigante di caffè: la colazione dei campioni! Ora sono nei cieli sopra il Colorado, in attesa di arrivare. Per recuperare dall'overdose di film di ieri sto leggendo: ho iniziato e finito la nuova fatica di Eleonora Epis (seguirà recensione) ed ora sto letteralmente godendo leggendo un libretto dal titolo sette notti, la trascrizione di sette conferenze tenute dall'immenso Jorge Luis Borges su sette argomenti affascinanti. Anche in questo caso seguirà recensione. Vi terrò aggiornati!
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