venerdì 20 marzo 2015

Massimo Carlotto - La banda degli amanti

L'Alligatore non tradisce mai!

Carlotto come suo solito combina una scrittura godibilissima (e che infatti mi sono goduto fino in fondo), una capacità non comune di costruire l'intreccio senza mai risultare banale e infine l'abilità nell'immaginare e mettere in scena sulla pagina personaggi mai banali e mai ripetitivi.
Per chi già conosce l'Alligatore c'è anche il gusto di trovare le tracce di tutti gli altri libri, incastonate qui e li. Per chi non lo conosce (il che è male! rimediate, immantinente!) credo che il libro sia assolutamente fruibile senza problemi. Sicuramente vi farà venire voglia di leggere tutti gli altri libri che lo vedono protagonista.
Il nordest produttivo è lo sfondo della vicenda ed anche il modo in cui viene tratteggiato è notevole. Insomma, come il suo detective senza licenza, Carlotto non sbaglia. L'unico difetto? Il finale-non-finale, che ci fa stare in ansia nell'attesa del prossimo...
4 stelle

lunedì 16 marzo 2015

Umberto Eco - Numero zero

Eco è un genio pazzo


Molto si è detto di questo libro, che non è all'altezza del genio di Eco, che ha una storia troppo poco complessa, che è troppo breve e via dicendo. Invece secondo me è uno dei tasselli che compone la personalità di quello che rimane per me il più grande autore italiano contemporaneo, con la sua complessità, la sua erudizione - che non smette di sfoggiare, e meno male! - la sua follia. Perché Eco è un genio pazzo, su questo non c'è alcun dubbio. Forse il finale è un po' affrettato e per questo un po' deludente. Ma per il resto c'è tutto, detto e più spesso lasciato intuire. Tutt'altro che deludente! 4 stelle
PS: vi ho mai detto che io da vecchio voglio diventare Umberto Eco?

giovedì 12 marzo 2015

Jorge Luis Borges - Sette notti

Un grandissimo della letteratura ci dice la sua su sette argomenti affascinanti

Borges è un gigante della letteratura, non solo sudamericana e argentina nello specifico, ma mondiale. Basti citare l'Aleph o ancora di più Finzioni, che io reputo il suo capolavoro assoluto. In questo libretto sono raccolte le trascrizioni (poi risistemate dall'autore) di sette conferenze tenute a Buenos Aires nel 1977 su sette argomenti affascinanti, dalla Divina Commedia alla cecità (come è noto, Borges divenne cieco ma continuò a scrivere e leggere - grazie ad amici - fino alla sua morte).

Le conferenze sono dei piccoli capolavori di erudizione, capacità di affabulare e raccontare, costruzione del racconto, capacità di coinvolgere il lettore. Tutti i grandi temi della produzione borgesiana sono toccati, in maniera egregia e affascinante. In definitiva un libro che fa capire meglio l'uomo e lo scrittore. Perfetto per chi, come me, venera le sue opere, ma ottimo anche per chi non le conosce e vuole farsi un'idea generale di questo genio, prima magari di affrontare gli altri suoi scritti. Me lo sono goduto fino all'ultima riga!
(5 stelle su 5, ça va sans dire)

domenica 8 marzo 2015

Quinta e ultima puntata: dal puntare al Casinò ad una puntatina a NewYork!

Ed eccoci arrivati, adorati 25 lettori all'ultimo episodio di questo viaggio di lavoro per la conferenza SITE2015, che ho cercato di raccontarvi usando queste pagine (o questi post?).
La conclusione dell'avventura si preannuncia cerebralmente precaria: sono ad una bancone di un bar all'aeroporto JFK di New York, mentre sorseggio l'ennesimo caffé-beverone nella speranza di stare sveglio fino all'imbarco del mio volo. Non dormo in un letto da circa 36 ore, quindi portate pazienza!

Dunque come sapete ho abbandonato la folle città di Las Vegas e sono arrivato stamattina alle 5,30 (dopo aver dormicchiato in volo, per fortuna, ma in posizione piuttosto scomoda e precaria avendo di fianco una signora che condivideva con me un aspetto fisico diciamo cicciottello). Ho recuperato la mia valigia, l'ho portata al deposito bagagli - se vi dovesse servire se ne trovano uno al terminal 1 e un altro al terminal 4 - dove per 11 dollari si sono occupati di custodirla e mi sono lanciato verso la grande mela. Prima però di consegnare la valigia c'è stato il prestigioso momento "interrail": nel bagno dell'aeroporto ho provveduto a cambiarmi maglietta (da maniche corte a lunghe), maglione (da cotone a lana), calze (da corte a lunghe) e - udite, udite - pantaloni, da leggerini a vellutino, per finire con il passaggio da una giacchettina leggera antivento ad un giaccone bello imbottito - sempre sia lodato, perché mi ha salvato. Ho lavato i denti, la faccia...insomma, sembravo un po' un homeless, ma la cosa è stata persino divertente. 
Per fortuna La mattina era meravigliosa e tersa, ma la temperatura proibitiva: un simpatico -10, grazie giaccone perché mi proteggi, grazie santa e saggia moglie per avermi ficcato in valigia guanti e berretto di lana/pile! 
Primo suggerimento furbo: dal jfk un meraviglioso trenino (airtrain) conduce il viaggiatore alle stazioni della metro Howard beach sulla linea A oppure Jamaica station sulle linee E, J, Z. Comodo, no? Si, ma lunghissimo... e allora il trucco del giorno è, una volta arrivati a Jamaica station, quello di prendere il treno LIRR fino alla Penn Station, in pieno centro di New York. Ci mette solo mezz'ora (contro l'ora e mezza circa della metro, ho fatto il confronto al ritorno).
Ah un'altra cosa: questi cornuti della MTA (che sarebbe l'ATM-like di New York, giusto con qualche linea e un filino di efficienza in più...) hanno eliminato il biglietto giornaliero. Per cui se si sta un giorno solo a New York conviene fare la Metrocard pay-per-ride da 10 $, che a me è abbondantemente risultata sufficiente. Ciò detto, dalla Penn Station non sono neppure uscito (anche se fremevo...) e mi sono diretto con la metro 1 verso il World Trade Center, ero davvero curioso di vedere il nuovo grattacielo più alto della città, che sorge dove una volta erano le Twin Towers. L'impatto, appena uscito dalla metro a Canal street (per gli appassionati di cinema: da qui in giù è il quartiere di TriBeCa, ovvero Triangle Below Canal, famoso anche per il festival del cinema omonimo) è semplicemente mozzafiato. Un po' per il freddo, un po' perché gil da Canall street One World Trade Center è colossale. Sembra non finire mai. Inizio a camminare per avvicinarmi, e mi ricordo che le distanze in questa città sono ingannevoli...sembrava lì a un passo, e invece si deve camminare un po'. Arrivato sotto ho modo di notare che la piazza è ancora parecchio sottosopra (stanno ultimando il memoriale e un paio dei nuovi grattacieli del complesso, quindi c'è decisamente casino), ma non riesco quasi a notarlo, perchè da sotto il nuovo grattacielo ruba lo sguardo.
Non finisce mai!

Sembra stagliarsi nel cielo come una freccia, che si appuntisce verso l'alto (effetto ottico notevolissimo, che si ripete su tutti i lati) e soprattutto lo sguardo fatica ad abbracciarlo. Non è imponente come l'Empire State Building, perché è più slanciato, ma non puoi non accorgerti del fatto che sia più alto. Bellissimo. La neve rende la visita a Ground Zero (che avevo visto nel 2005 e che trovo molto diverso da allora) poetica e commuovente. Mentre sei qui ti viene voglia di prendere a testate i complottisti che sostengono che l'11/9 sia una montatura. Poi lo so, ogni giorno muoiono milioni di persone nel mondo, molti di più di quanti ne siano morti quel giorno, ma questa città - che ci piaccia o meno - rappresenta qualcosa di unico nella nostra cultura (anche a causa della colonizzazione culturale che gli USA hanno di fatto operato): ogni angolo ti sembra già visto, perché ti ricorda decine di film, telefilm, ecc... Ciò detto, il memoriale è molto sobrio e piuttosto toccante, con due piscine di onice in cui l'acqua cade verso il centro della terra. 
Memoriale

Arrivo fino a Battery park per fare ciao ciao con la manina (da lontano) alla Statua della Libertà, ma il freddo sullo Hudson è seriamente improponibile, torno verso il vetro e il cemento di lower Manhattan!

Riprendo la metro e scendo tra Broadway e la 23, ossia nell'angolo in cui troneggia, nel suo fascino inarrivabile uno dei primi grattacieli newyorkesi: il Flatiron building, con la sua forma a ferro da stiro. 

Vogliamo parlare del Flatiron?

La luce luminosa e tersa lo rende ancora più bello, e fa luccicare i suoi vicini. Mi giro verso la Quinta strada, e la mole massiccia dell'Empire State Building mi si para davanti. 
Impossibile non riconoscerlo!

Mi incammino sulla Quinta, dopo aver capito con estrema chiarezza la assoluta necessità, in una giornata come oggi, dell'orrendo beverone bollente che è il caffè americano e che tutti stringono nella mano mentre passeggiano. Questo sarà il primo dei 5-6 che mi accompagneranno - scaldandomi e pompando caffeina nelle mie vene - lungo la giornata. Risalgo tutta la quinta strada godendomi, col naso all'insù la meraviglia verticale di questa città. In 10 anni, molto è cambiato, ma molte sagome continuano ad essere al loro posto: quando ti giri e vedi il Chrysler Building, coi suoi doccioni inquietanti e la sua cupola meravigliosa, ti immagini che l'uomo ragno possa passare da un momento all'altro...

Arrivo fino a Central Park (e sento nelle orecchie l'inizio famoso "ladies and gentlemen, Simon and Garfunkel", prima che attacchino Mrs Robinson), faccio tappa per riposarmi un po' al più famoso Apple Store del mondo, poi mi sposto sulla Sesta per ammirare qualche altro grattacielo. Ero in dubbio se passeggiare un po' a caso come sto facendo o fare piuttosto una visita al MoMa, ma la giornata di sole e questa città senza eguali al mondo mi trasforma immediatamente in un flâneur. Arrivo a Times Square e ai suoi cartelloni luminosi. La fame si fa sentire, come resistere all'insegna "Dallas BBQ", che campeggia sulla 42ma? Era il mio posto preferito quando ero venuto 10 anni fa, e si conferma di livello mondiale, con le ribs di porcello letteralmente immerse nella salsa BBQ ed un cono mostruoso di onion loaf (non sono riuscito a finirli, ed era la porzione small...)
Una TORRE di cipolla fritta! Gosh!

Ho tempo per un po' di shopping ancora, mentre percorro tutta Broadway (per digerire quel popò di pranzo, mi costringo a farla a piedi dalla 42ma alla 14ma, il che vuol dire davvero TANTO) per andare a prendere la linea L che mi porterà, dopo incrocio con la J, a Jamaica beach (mettendoci una novantina di minuti, come dicevo prima, facendomi passare tra le casette tutte uguali tra Brooklyn e il Queens).

Ora ho un sonno pazzesco e sono davvero stravolto (e non credo che il mio vicino di aereo sarà felice di accorgersi che l'ultima doccia risale a 30 ore fa...ho cercato, ma al JFK non ci sono docce, come faceva Tom Hanks in quel film in cui rimane confinato per una vita in aeroporto?). Ma letteralmente al settimo cielo. Dopo una settimana nella città più assurda del pianeta (Las Vegas) queste 10 ore a New York sono state meravigliose. Come questa città, pazzesca, indimenticabile, dove voglio tornare al più presto. 
In ogni angolo c'é qualcosa che ti lascia a bocca aperta!

Con questo saluto i miei affezionati lettori e mi accingo a tornare nella madre patria: ci sentiamo da lì! Prima però apriamo lo spazio del dubbio del giorno, che mi torna ogni volta che vengo negli States: perché diavolo nella tazza del water c'è l'acqua alta come a Venezia? Non è bello, soprattutto quando si fa il numero 2, non è bello per nulla!

Ma alla fine, meglio 5 giorni a Las Vegas o 10 ore a New York? Meglio sarebbe 5 giorni e 10 ore a New York!

Un abbraccio caloroso a chi ha letto questi cinque deliranti post. Spero di avervi dato un po' di impressioni che ho vissuto!

venerdì 6 marzo 2015

Follie di Las Vegas 4 episodio

Ed eccoci arrivati al penultimo episodio di questo diario di un (non più) giovane (più o meno) ricercatore a Las Vegas. Sonno le 10 del mattino, ieri è stata una giornata pesante, ma il peggio deve arrivare: per due notti di fila, infatti, sono destinato a dormire in aereo (sperando di riuscirci) a causa della mia pazzia. Infatti stanotte viaggerò da Las Vegas al JFK, sperando che il video dell'aereo che scivola sulla pista e quasi finisce nello Hudson, che circolava ieri - ma era il La Guardia, non il JFK! - sia ormai storia e che abbiano pulito la pista d'atterraggio. Poi passerò l'intera giornata facendo il turista nella Grande Mela (i'm an italianman in New Yoooork) e passerò la notte tra il JFK e Malpensa. Lo so, è un gesto folle, ma l'idea di avere un giorno di turismo nella città più incredibile del mondo mi faceva troppa gola!

Ieri intera giornata dedicata alla conferenza. Sentite moltissime cose interessanti, tra cui spicca l'eccezionale workshop tenuto da una ricercatrice di un'università dell'Ohio, la quale mostrava un set di attività da fare in classe usando Google Drive. Tecnnologicamente banalissima, la faccenda ha però un fondamento pedagogico di tutto rispetto. Grande lavoro preparatorio, ma grande soddisfazione: ovviamente perchè funzioni occorre avere tutta la classe con un dispositivo connesso. Ma qui oramai tutti danno più o meno per scontato il paradigma del BYOD e fine della discussione. Tra l'altro questo genere di attività e il tipo di lavoro che lei fa riecheggiavano anche stamattina nelle parole del Keynote speaker, il prof. Gee, il quale ha affermato:

"Educators don't need to fear becoming redundant unless they limit themselves to what artificial tutors can do"

Un concetto notevole, no? Tornando a ieri, a pranzo abbiamo commesso un grave errore: abbiamo pranzato da hash house a go go, un posto very american che è interno all'albergo (su questo non c'è scelta, il Rio non è sulla strip, ma è in the middle of nowhere e quindi o mangi qui, o devi prendere un taxi per andare sulla strip). I piatti erano degni di man vs food, e decisamente ha vinto il food: abbiamo spazzolato tutto, sì, ma poi eravamo delle mummie, la fase digestiva è stata realmente complicata. Vi do un'idea con un paio di foto
Il mio chicken fried con sopra e sotto di tutto

Il nostro gruppo di italians affronta la situazione

Nel  pomeriggio abbiamo fatto in tempo a seguire un simposio di due ore gustosissimo (ma io morivo di sonno digestivo) sul TPACK model, e ho conosciuto l'altro volto di questo modello pedagogico che è davvero la koiné del periodo, ovvero Mattew Kholer, autore col mio amico Punya Mishra dell'articolo che ha di fatto lanciato il TPACK. Ho così scoperto che noi abbiamo assolutamente bisogno di un modello per inscatolare concettualmente i risultati che otteniamo coi nostri progetti. Qui i numeri che noi facciamo mettono paura: quasi tutti i paper parlano di numeri incredibilmente più bassi. C'è spazio per lavorare su questo aspetto e bisognerà farlo. Questo introduce a un piccolo excursus:

--EXCURSUS--
Come sempre quando vengo alle conferenze recrimino sulla mia storia professionale. Avrei molto da dire e da dare come ricercatore e invece sono costretto per campare a fare il tecnico amministrativo per la maggior parte della mia giornata, lasciando la ricerca confinata alle ultime ore della giornata o al weekend. Forse dovrei provare a fare un PhD, e tornare alla ricerca. O forse c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato, se il mio lavoro di ricerca ottiene riconoscimento a livello internazionale, ma ciò non è sufficiente per garantirmi una posizione di ricercatore a tempo pieno in Italia. Ogni volta mi viene la tentazione di emigrare, ma non ho il coraggio di farlo, e così mi tengo la mia recriminazione e vaffanculo. Vabbé, lasciamo da parte l'amarezza e proseguiamo
-- FINE EXCURSUS--

Alle 5 del pomeriggio i due grandi capi se ne vanno, per tornare in patria e io vado a fare le veci del boss all'incontro tra tutti i responsabili dei SIG (Special Interest Group). Parlo con la responsabile, una sciura molto texana che sia chiama Rhonda e le spiego della nostra idea (che nel frattempo con Paolo avevamo raffinato) di fare a SITE 2016 un simposio sulla World Education (che in effetti è un tema che piace a tutti, ma di cui nessuno, per ovvi motivi, vuole farsi carico). Lei appare entusiasta all'idea...ce la faremo? Vi farò sapere se il prossimo anno visiterò Savannah, la coastal pearl of Georgia.

A questo punto, finally alone, la mia idea è di folleggiare. Vado così con lo shuttle bus sulla strip e mi faccio una camminata infinita (maledizione a me che sottovaluto le distanze, che sono colossali, come tutto in questa città) fino ad arrivare al mitico Bonanza, il negozio di souvenir più grande del mondo...e per vedere le porte che mi si chiudono in faccia! Ma non mi arrendo, sarà mia meta questo pomeriggio. Faccio a questo punto un po' di turismo di alberghi: a Las Vegas, infatti, la cosa da vedere sono i mega alberghi: si può entrare, gironzolare, giocare al Casinò - ma io stavolta ho evitato - e andare al prossimo. Ecco qui una carrellata di follie:
Una  finta cascata al Wynn

Pavimento luminoso al SLS

Stratosphere

Un classico per finire: Fontana del Bellagio

-- UNA RIFLESSIONE GENERALE SU LAS VEGAS --
Per un europeo Las Vegas è assolutamente un posto incomprensibile. E' una non-città, di fatto un ou-topos, in cui la gente viene solo per divertirsi. Voglio dire, lo scopo di un viaggio a Las Vegas è di tuffarsi un una specie di carnevale permanente per adulti (fortunatamente i bambini sono davvero pochi), in cui le regole sono sospese, tutto è gigante, tutto è folle, è letteralmente obbligatorio ubriacarsi, giocare, divertirsi. Non a caso è l'unico posto dove si può bere per strada senza camuffare l'alcool nei sacchetti (e ci sono in giro ragazzotti con beveroni alcoolici alla frutta in bicchieri alti mezzo metro, non sto esagerando), si può fumare praticamente ovunque, compresi i casinò, si gioca, c'è la prostituzione diffusa, con uomini sandwich che vanno in giro coi cartelli "girls directly in your room" ad ogni passo. Per la nostra mentalità un posto dove per legge ti devi divertire e non hai altra scelta, è davvero difficile da capire. Ah e poi ci sono ragazze mezze nude in tutti i casinò. Alla fine la cosa non appare tragressiva, ma solo triste. Voglio dire, manca totalmente il mistero, la sensualità, la trasgressività della situazione. Vedi solo ste poverette mezze nude che servono la birra a dei vecchiacci schifosi che sono attaccati alle slot machines per ore e ore, Scarsa poesia, toro discendente.
Ah e poi tutti vogliono soldi, le maledette tips. C'è lo shuttle gratis dal Rio alla strip, ma se non dai un buck all'autista, ti guarda come un barbone. Prendi un taxi, il conto è 8 dollari? Gliene dai 10 e se li tengono. Mangi al bancone del bar, quindi tecnicamente non c'è servizio? Devi lasciare almeno il 18% di mancia. 
-- FINE RIFLESSIONE GENERALE SU LAS VEGAS --

La lunga camminata mi ha ucciso: decido di tornare in hotel...e mi addormento vestito alle 22,30! Che figura, altro che folleggiare, il quarantenne crolla tragicamente! E senza cena, per colpa del pranzo pantagruelico (ma stamattina mi sono alzato affamatissimo e non ho potuto resistere alla colazione americana con uova, bacon e patate arrosto!)

Vado a fare la valigia: vi aggiornerò presto con l'ultima puntata. E grazie a tutti quelli che stanno seguendo queste note: qualcuno mi ha scritto che le sta gradendo, e ciò mi fa davvero piacere!
Alla prossima!

giovedì 5 marzo 2015

Las Vegas calling 2015 - terza puntata

Ed eccoci qui, cari i miei pazienti 25 alla terza puntata del viaggio del vostro eroe alla conferenza SITE2015. Oggi giornata davvero piena: i grandi capi sono arrivati, c'era la nostra presentazione...giornata carica di emozioni!

Iniziamo dalla cosa più importante, la conferenza: oggi ci siamo divisi le sessioni tra noi tre e ne abbiamo seguite un bel po'. Appare in tutta la sua chiarezza che questa conferenza è molto teacher-oriented e totalmente USA-centered. Abbiamo visto un mucchio di cose interessanti, ma decisamente episodiche, in generale sembra che il sistema statunitense abbia molti pregi, ma anche qualche difetto: le esperienze che abbiamo visto hanno numeri assolutamente non paragonabili con i nostri, sono piuttosto sporadiche e non vanno mai oltre il distretto scolastico (non ci sono progetti federali o trans-stati, ogni distretto lavora per proprio conto, coinvolgendo l'università locale e poco più. Con investimenti mostruosi, ma su numeri davvero piccoli).
Quindi c'è speranza? Si e no: in ogni caso quello che fanno è fatto benissimo e non viene mai trattato con ingenuità, si riconosce il lavoro di chi ci lavora e si investe di conseguenza.

Durante la pausa pranzo io e Nico abbiamo partecipato a un SIG (Special Interest Group) sulla creatività, il cui boss è Punya Mishra (sempre sia lodato). Uno di noi due - non è chiaro se io o lei, ma da una conversazione che ho avuto con Punya in seguito temo di essere io l'eletto - è stato anche cooptato come membro di questo SIG. "Vorrei un volontario che dia al SIG un flavour internazionale, magari qualcuno dall'Italia" - ovviamente eravamo gli unici due italiani nella sala. Catturati!
Punya introduce i lavori del SIG sulla creatività


Nel frattempo la mente perversa del grande capo ha partorito una nuova idea, che ha incontrato molto favore da queste parti: aprire un filone di ricerca/attività sulla World education: qualcosa che piace a tutti, ma non è in agenda per nessuno. Sarà un colpo di coda di puro genio o il suicidio? Lo scopriremo, sicuramente qui le reazioni sono di grande interesse...vedremo!

Alle 15 abbiamo fatto la nostra presentazione: poca gente, ahinoi, il che per me è un problema, perché per dare il meglio io ho bisogno di pubblico, ma molto interessata e competente. Alla fine mi è toccato parlare e direi di essermi difeso molto bene. Buon successo di pubblico e critica, soddisfazione. 

Statue romane nel Caesar's Palace


Alle sei siamo finalmente riusciti a fare un po' di turismo: via verso la strip per vedere un po' di follie lasvegassiane. Passeggiata al Palazzo (con le sue gondole veneziane e la miniatura di piazza san Marco...), finta eruzione del vulcano di fronte - impressionante - un tuffo nella Roma imperiale al Caesar's Palace ed infine Bellagio, con la sua spettacolare fontana musicale. Entriamo e diamo libero sfogo al demone del gioco (solo io e Paolo). Aldo in grande forma vince ben 20 dollari!

La fontana del Bellagio sarà pacchiana, ma è affascinante!

Cena in un locale messicano semplicemente da urlo: cantina Cabo Wabo. Il miglior margarita della mia vita, burrito, tortilla chips appena preparate, davvero grande meraviglia!
Rientrando in hotel ho sentito ancora il richiamo del demone del gioco e mi sono fermato al tavolo del blackjack qui al Rio. Grazie ad uno stile di gioco da massaia brianzola guadagno altri 24 dollari e sono lì tutto soddisfatto...quando la vecchiazza di fianco a me gioca in un colpo 2000 (leggasi DUEMILA!!!) dollari e ne vince altrettanti senza battere ciglio. Una situazione molto ridicola, che però non mi ha tolto il gusto di andare dal CASHIER a farmi convertire le mie fiches in sonanti bucks :)
Vincite copiose...

Viva Las Vegas!

mercoledì 4 marzo 2015

Site 2015 a Las Vegas - seconda puntata

Ed eccoci qui, cari i miei 25 lettori, con la seconda puntata di Aldo goes to Vegas!
Ieri sono finalmente arrivato: una volta sceso dall'aereo al gelo newyorkese si è sostituito il caldo del deserto: 15-20 gradi, gente in giro in infradito (qui chiamate flip-flops), l'impatto micidiale con l'aeroporto di Las Vegas, colmo di slot machines. Tra l'altro l'aeroporto è praticamente in città, quindi arrivando si vede già tutta la follia di questo posto, si vede tutto il piattume della pianura e i mega alberghi che si succedono sulla strip. Dall'aereo la piramide nera del Luxor emerge in tutta la sua stranezza...

Prendo uno shuttle bus e arrivo in albergo. Il Rio è un po' un nobile decaduto: un albergo che ha 25 anni a Las Vegas è una rarità, però fa ancora la sua porca figura. Purtroppo non è sulla strip (che sarebbe la strada di Las Vegas su cui affacciano tutti gli hotel famosi e folli: il Palazzo con le sue gondole e ricostruzioni delle  calli di Venezia, il Bellagio e la sua Fontana, il Cesar Palace tutto in stile antico romano, eccetera), ma un po' separato. Fortunatamente c'è uno shuttle che ti porta alla strip. Ciononostante, è difficile prendersi una pausa e fare un po' di turismo, perché i ritmi della conferenza sono serrati e fanno di tutto per tenerti fisso in albergo. Speriamo nell'ultimo giorno!

L'albergo ha due torri (Ipanema e Masquerade) ed è di dimensioni bibliche. Per andare da una torre all'altra c'è una camminata di 10 minuti nel casinò che fa da piano terra, tra vecchine impazzite attaccate alle slot, ragazze seminude che servono ai tavoli, una corvette vera parcheggiata vicino a una slot (la si può vincere, pare), gente che urla perché ha vinto qualcosa ...
La lobby-casinò dell'hotel. I più attenti noteranno la Corvette

Io sono al 25mo piano (su 50) e la vista che ho dalla finestra è notevole (vedi foto), così come lo è la dimensione della mia camera, sensibilmente vicina a quella di casa mia (forse anche più grande...)
La vista dalla mia stanza

La mia stanza!

Mangio qualcosa, o meglio mangio un colossale hamburger in uno dei 20 - non sto esagerando, lo giuro - ristoranti dell'hotel e mi butto sulla conferenza. Mentre cerco di raggiungerla trovo questo cartello esilarante

davvero un viaggio! Al momento ci sono 3 conferenze nell'hotel e vi assicuro ce ne potrebbero stare altre due!

Incontro un po' di amici (momento divertente: incontro Punya Mishra, che è la superstar della conferenza e che io conosco perché è stato nostro ospite alla cerimonia DOL dello scorso anno. Lui mi abbraccia molto affettuoso, e io prendo millemila punti rispetto a tutti i presenti che osservano la scena), ascolto un po' di cose interessanti. La conferenza è molto americana e molto teacher-centered, ti fa capire che nonostante qui siano avanti anni luce (con investimenti dalle autorità locali sull'educazione che noi ci sogniamo di notte) molti dei problemi sono comuni. Ieri si è molto parlato di come introdurre la creatività a scuola rispettando però gli standard, che sono l'analogo del nostro programma ministeriale. Davvero tutto il mondo è paese! Vedrò di approfondire per voi il concetto!
A sera, infine, sono arrivati i boss. Stravolti più di me: hanno perso la coincidenza a Londra causa vento e sono stati ricollocati su un volo il giorno successivo per Los Angeles e poi Las Vegas. Un viaggio della speranza! Nonostante questo siamo andati in un ristorante meraviglioso (McCormick & Schmick's) dove ho mangiato una bisteccona di rara bontà. Sulla carnazza ci sanno fare da queste parti, questo non si può negare!

A ninna prestissimo e ora è il giorno della nostra presentazione! Preparo il completo, faccio la doccia e mi butto nella conferenza. Alla prossima!

martedì 3 marzo 2015

Site 2015 a Las Vegas: prima tappa!

Il vostro blogger preferito è in viaggio verso Las Vegas, dove sta andando non per giocarsi le mutande a blackjack, ma per la conferenza Site 2015. Un ruggito improvviso di lavoro-2, un bell'articolo scritto coi miei capi e via, eccomi proiettato al di là dell'oceano.

Nota a margine tecnologico-metodologica: per la prima volta ho deciso di non portare il computer, ma di provare a sopravvivere durante la conferenza (attività tipiche: prendere appunti, rispondere a un po' di mail con scocciature che ti aspettano al ritorno, al limite editare qualche file di testo) solo con l'ipad mini. Mi sono fatto comprare da Anna, la regina di amazon, una tastiera esterna Bluetooth (molto bella) e via. Vi farò sapere!


Ieri l'inizio del viaggio è stato dei peggiori, con il gelo su New York che ha impedito la partenza in orario e mi ha costretto a 6 ore di nulla cosmico a Malpensa. Con la prospettiva, già nota, di perdere la coincidenza da New York per Las Vegas e di dover passare una notte nei pressi dell'aeroporto in attesa di una ricollocazione su altro volo. Ora scrivo questa nota proprio da questo altro volo, che mi ha visto partire stamani alle 8 e che tra un'ora e mezza mi lascerà nella mecca del divertimento.

La prima sensazione è quella di vuoto totale che ho affrontato a Malpensa ieri. Nonostante avessi da lavorare (apprezzate, cari 25 lettori, il mio ufficio mobile approntato per l'occasione!) e abbia lavorato, c'è stata quella particolare sensazione di sospensione del tempo, dell'essere ostaggi della situazione che solo gli aeroporti sanno dare. Se poi si tratta di Malpensa, l'aeroporto più triste e spoglio del pianeta, la sensazione si moltiplica. A proposito: a due mesi dall'inizio ho potuto ammirare l'aeroporto di expo: un gruviera fatto di lavori in corso e incompiutezza. Il confronto col JFK, dove sono poi arrivato è assolutamente improponibile. Speriamo bene, ma la figuraccia internazionale inizia a stagliarsi davanti agli occhi anche di un expottimista come me.

Ho volato con Delta, una compagnia americana: ottimo volo, confortevole. Mi hanno abbottato come un porcello, forse perché si sentivano in colpa? - mi hanno nutrito praticamente di continuo. Io intanto, stravolto dalle ore di nulla precedenti, ho pensato di mettere a cuccia il cervello (se presente) con un en plein di film: in rapida successione mi sono sparato Lucy (in italiano, bel film, assurdo ma bel film), the giver (sempre in italiano) che è stato la rivelazione del viaggio (molto affascinante e con richiami filosofici a Schopenhauer e all'idea del velo di Maya da squarciare) ma soprattutto ho visto transformer 4 (questo in inglese, ho pensato che visto il filmone, potesse essere possibile capirlo anche in inglese - è così è stato, essenzialmente si picchiano). Definire transformer 4 rievocando il mitico giudizio fantozziano sulla Corazzata Potemkin è assolutamente legittimo. Tra l'altro la durata è simile, non finiva mai!
Arrivato al JFK resto assolutamente stupito dalla velocità con cui vengo ammesso sul suolo americano dall'efficentissima dogana statunitense. La scena quando si arriva è mostruosa: dai corridoi letterali fiumi di gente vengono riversati in un enorme salone, vengono smistati e di ciascuno vengono prese impronte digitali delle 2 mani e viene fatta una foto del volto. Quando si osserva la coda, si immagina che passeranno ore prima del proprio turno, in realtà io sono passato in circa 20 minuti. Il bagaglio era già arrivato (altro fenomeno che lascia basito un italiano, abituato a vivere l'attesa davanti ai nastri trasportatori con il fatalismo di chi attende la pioggia durante l'estate nel Botswana: sai che la stagione delle piogge potrebbe arrivare prima o poi, ma sai anche che sarà più poi che prima). Al banco della Delta mi organizzano il trasferimento con uno shuttle bus in albergo ed esco nella notte newyorkese. Capisco immediatamente perché non si potesse atterrare: il freddo spezza il fiato (ed io, convinto di proseguire per Las Vegas sono vestito davvero leggero). 


Un po' di sano cameratismo si instaura tra gli altri derelitti, ormai provati da una giornata che nel mio caso è durata circa 22 ore, si chiacchiera e ognuno pensa al volo del giorno successivo su cui ciascuno è stato collocato: nel mio caso vado a dormire alle 23 e dovrò essere in aeroporto alle 6. 
L'albergo è vicinissimo al JFK, quindi nel quartiere del Queens. Già quando nel 2005 venni a New York con Anna, e perdemmo il volo di ritorno per un misunderstanding sul terminal di partenza, ci avevano collocato qui. Le casette del Queens hanno una loro poesia, tutte identiche che si susseguono, coi loro giardinetti e le macchine parcheggiate fuori, ieri sera ingentilite da un copioso strato di neve, che rende l'atmosfera magica. Se non fossi stato così stravolto, avrei persino potuto ipotizzare una passeggiata per queste strade tutte uguali. Invece salgo, faccio la doccia, decido di saltare la cena (come detto, ero stato ben abbottato in aereo) e crollo letteralmente su un lettone gigantesco in mezzo a un numero di cuscini che supera abbondantemente il numero di cuscini complessivi che una famiglia in media possiede. Lascio la tenda della finestra aperta: si vede il parcheggio, sì, ma in lontananza si vede benissimo l'empire state building e si intuisce la sagoma, per me nuova, di One word trade center. Mi lecco i baffi pensando che sabato mi aspettano - se non sorgeranno nuovi imprevisti - 15 ore di sosta a New York, e che andrò a verificare di persona come sia il nuovo skyline e crollo nelle braccia di Morfeo. Jet leg? Non conosco questa parola, dopo la giornata campale! 

Appena sveglio mi godo il caffè americano che mi sono preparato: adoro la presenza della macchinetta e di qualche busta di caffè che sempre allieta le stanze degli hotel usa, precipito nella hall, e torno al JFK con lo shuttle bus mentre osservo il traffico del Queens che si risveglia. Prima colazione americana in aeroporto (mille posti tra cui scegliere, tutti invitanti e a prezzi accessibili, penso, e scuoto il capo ricordando la terrificante pizza di mychef che ho mangiato a Malpensa pagandola come una cena bistellata): toast con frittatina e bacon e nuova dose gigante di caffè: la colazione dei campioni! Ora sono nei cieli sopra il Colorado, in attesa di arrivare. Per recuperare dall'overdose di film di ieri sto leggendo: ho iniziato e finito la nuova fatica di Eleonora Epis (seguirà recensione) ed ora sto letteralmente godendo leggendo un libretto dal titolo sette notti, la trascrizione di sette conferenze tenute dall'immenso Jorge Luis Borges su sette argomenti affascinanti. Anche in questo caso seguirà recensione. Vi terrò aggiornati!