lunedì 28 settembre 2015

Molto forte, incredibilmente vicino - Jonathan Safran Foer

Non devo più leggere libri così

Sto diventando vecchio: quando leggo libri come questo (che a mio avviso non è tanto sull'11 settembre, quanto proprio sul concetto di perdita e sul dolore associato) poi mi sciolgo nelle lacrime, non riesco a trattenermi, neppure se sono in pubblico...

Sarà l'età, che assieme all'incontinenza classica (una volta potevo dormire fino a mezzogiorno senza problemi, adesso mi alzo di notte anche se mi devo svegliare alle 7) porta all'incontinenza delle emozioni? O forse il fatto che passati i 40 ti rendi conto che molte delle emozioni che vivi sui libri in realtà raccontano dei pezzi delle nostre vite? O che alcune delle cose che i libri raccontano le vivrai solo nei libri, che se mentre prima erano possibilità, ora sono rimpianti?

Non lo so, so solo che mi sono a lungo tenuto alla larga da questo libro, perché temevo la retorica facile del 9/11, come lo chiamano gli americani. E invece sono felice di aver deciso, in una notte portoghese, di affrontarlo. E di dedicargli le seguenti due notti: lo avrei voluto finire in un colpo, ma sono riuscito a centellinarlo giusto un minimo.

E' un libro ricco di paradossi, sicuro, ma contiene anche tanta verità o meglio, tanta verosimiglianza. Che è poi ciò che mi piace trovare in un libro, non certo la verità (che non esiste, oramai Nietzsche ce lo ha svelato senza ombra di dubbio), ma la verosimiglianza, la coerenza del mondo a sé che ogni libro diventa tra le nostre mani.

E quando l'ho finito, nonostante fossi su un aereo che mi riportava a casa da Lisbona (e cosa c'è di meglio che immaginare le note del fado, leggendo questo libro?), di fianco ad un sacco di altre persone, non sono riuscito a trattenere le lacrime. Forse perché, per tornare a quanto scrivevo sopra, sappiamo che da un certo punto in poi della vita è più con la morte che con la vita che dobbiamo iniziare a fare i conti...
5 stelle, ovvio.

martedì 15 settembre 2015

La verità sul caso Harry Quebert - Joël Dicker

Costruito a tavolino

Trovo difficile recensire negativamente (come mi verrebbe di fare "d'istinto" dopo averlo terminato) un libro che si è fatto leggere in pochissimi giorni e in maniera quasi compulsiva. Infatti, di solito, se un libro richiama la mia attenzione al punto di volerlo finire ad ogni costo, al punto di voler interrompere le mie attività per portarlo a termine, tendo a valutarlo in maniera estremamente positiva: se ti aggancia così tanto, solitamente è per merito ed è molto snob ma abbastanza odioso, o intellettualmente disonesto, ignorarlo.
In questo caso però le tre stelle sono una media tra la sensazione di urgenza che mi ha dato la lettura (4) e la delusione che ne è scaturita (2): la sensazione che ho avuto, in maniera più o meno costante, è che il libro sia stato troppo costruito a tavolino per diventare un "caso editoriale". Troppi colpi di scena, costruiti quasi a scatole cinesi, col colpo di scena che smentisce il colpo di scena di due pagine prima. Il solito trucco del manoscritto, oramai un po' trito. Una certa dose di pruderie e quindicenni in calore, una spruzzata di esorcismo, l'effetto american beaty, la metascrittura, insomma un discreto accavallarsi di trucchetti accalappia-lettori e di cliché. Alla fine forse l'urgenza era dovuta alla fretta di finirlo, per poi passare ad altro?
(3 stelle ed è già parecchio)