domenica 22 settembre 2013

London calling! Ovvero: erasmus tardivo

La UCL
Tra i pochi rimpianti relativi alla mia carriera studentesca, uno da sempre giganteggia: è il fatto di non aver provato ad andare in Erasmus. L'esperienza di studiare all'estero mi è mancata, e mi manca tutt'ora. A parziale recupero di questa carenza è intervenuto, come un meraviglioso fulmine a ciel sereno il programma lifelong learning Erasmus STT: il Politecnico di Milano, Università per la quale ho il piacere di lavorare da 13 anni, mette ogni anno a disposizione un certo numero di borse di studio per poter passare un periodo presso un'Università o un altro ente in Europa al fine di mettere a confronto le diverse realtà, imparare cose nuove, osservare come problemi analoghi vengono affrontati in diversi luoghi.
Avevo già provato a partecipare un paio di anni fa, ma purtroppo non avevo ottenuto la borsa di studio, quest'anno invece sono stato tra i selezionati. Una delle grandi difficoltà è ovviamente quella di reperire un adeguato contatto presso un'Università partner, perché è compito del dipendente proporre, di concerto con l'università partner, un programma di studio/lavoro da seguire. Per mia fortuna, attraverso contatti di ricerca, ho avuto la possibilità di contattare la UCL, University College of London, dove ho trovato una persona di grande sensibilità che ha accettato di supportare il mio progetto.
Così, tra il 9 e il 20 settembre, ho potuto passare due incredibili settimane presso la Facoltà di Ingegneria di quella che è - classifiche alla mano - la quarta università al mondo!
Il mio mac sulla mia hot-desk

L'esperienza in sé è travolgente: per due settimane sei da solo in una città come Londra (e la UCL è proprio in centro, vicino al British Museum) e te la devi cavare. Questo vuol dire che quanto meno il tuo inglese migliorerà incredibilmente: si tratta di sopravvivenza! In più, nel mio caso, alla UCL hanno preso la faccenda molto sul serio e quindi sono stato invitato a partecipare attivamente alla vita lavorativa dell'Università. Ho seguito lezioni (di un corso tenuto dal vice Preside della Facoltà di Ingegneria, dal titolo quanto mai appropriato "Solving complex problems"), ho partecipato a riunioni (dicendo la mia! in più occasioni mi è stato chiesto cosa ne pensassi e come facevamo noi al Poli ad affrontare temi analoghi), ho avuto colloqui con colleghi, ho avuto la possibilità di avere una scrivania dove lavorare...sono stato trattato davvero bene!
Secondo il mio profilo lavorativo (a cui ho aggiunto anche i miei campi di ricerca) ho approfondito due tematiche: da un lato la gestione dell'offerta formativa e delle carriere degli studenti, dall'altro tutto ciò che alla UCL è e-learning.
Palmers Lodge Swiss Cottage Hostel

All'atto pratico ho soggiornato in un ostello (not too bad) nella zona Swiss Cottage. Anche l'ostello, con le sue scomodità, si è rivelato parte di un'esperienza nel complesso estremamente formativa: 21 persone in camera, necessità di adattarsi, scomodità... ma al contempo possibilità di incontrare davvero persone interessanti provenienti da tutte le parti del mondo. Londra è carissima, non lo scopro io, l'ostello in tal senso è una soluzione ragionevole. Per andare in università, c'erano solo 4 fermate di metropolitana, quindi assolutamente comodo.

Cosa ho imparato:
1) oggi le sfide che le varie Università del mondo devono raccogliere sono globali. L'Università italiana se continuerà a pensare solo al nostro piccolo paese, è spacciata. Il Politecnico in questo è molto avanti, ma bisogna fare molto di più: l'esperienza che ho vissuto è stata davvero internazionale, non inglese. E non parlo solo degli studenti: colleghi e docenti vengono davvero da tutto il mondo, e ragionano in modo globale.
Una meravigliosa aula studio
2) bisogna imparare a sfruttare di più e meglio le proprie risorse interne. La visione che alla UCL si ha dei colleghi tecnico-amministrativi è lontana anni luce da quella che abbiamo noi. Non è l'esercito dei burocrati, ma gente che fa andare avanti l'Università, davvero assieme ai docenti. Un'altra risorsa fondamentale sono gli studenti: in più casi ho visto studenti divenire parte attiva delle decisioni universitarie. C'è il coraggio di chiedere loro di partecipare di più e di ascoltare ciò che dicono, senza paternalismi
3) clientelismo, concorsi farlocchi truccati (a tutti i livelli), amici-degli-amici, fancazzismo all'ennesima potenza, mancanza di responsabilità sul lavoro (che impone, all'atto pratico, l'assurdità del timbrare il cartellino): vizi tipici delle nostre università, facili da respirare anche se la si frequenza per poco. Nel confronto col resto del mondo è come partire con un handicap notevole
4) l'idea che molto ha fatto discutere che il Politecnico ha proposto, di erogare le magistrali in inglese può davvero essere un asso nella manica, se saremo in grado di gestirla - a tutti i livelli - adeguatamente. Basta farsi due conti per capire perché...
5) l'elearning, soprattutto per corsi non full-online ma che fanno piuttosto da supporto a quello che si fa in presenza, significa anche pensare agli spazi. Si parla molto di social learning (e io sono il primo a parlarne!), ma in determinate situazioni - come quella descritta - lo spazio di fruizione è importante almeno quanto l'ambiente di apprendimento (inteso nel senso del software). Come fare a "spingere" i docenti a utilizzare le piattaforme online? Rendendolo parte del loro lavoro da un lato, fornendo reale e funzionale supporto dall'altro. L'idea di utilizzare del personale dislocato nelle facoltà o nei dipartimenti, che possa essere la testa di ponte è secondo me geniale.
A lezione! Uso degli iPad alla UCL
6) un buon e-portfolio può essere una chiave piuttosto interessante per collegare università e aziende in prospettiva di employability. Io né al Politecnico né in alcuna delle due università che ho frequentato da studente (Unimi, ma era cento anni fa, quindi è giustificabile, e Unipd) ho visto nulla di simile.
7) in due settimane, se accuratamente eviti - come ho fatto io- ogni possibile rischio di parlare in italiano (per esempio scacciando la tentazione di chiacchierare in lingua natia con i tuoi compatrioti presenti in ostello, e prediligendo invece gli stranieri) e sei "obbligato" a continuare a ascoltare e parlare in inglese, la tua capacità di farlo subirà un'accelerazione al di fuori di ogni tuo legittimo sospetto, anche dei più rosei. Un vero overboost! Verso la fine delle due settimane, mi sono sorpreso a fare mentalmente l'elenco delle cose da fare...in inglese!
8) forse sono stato fortunato io, ma ho incontrato colleghi davvero meravigliosi. Disponibili a perdere del tempo con me, o meglio, desiderosi di confronto. Questo mi ha fatto pensare: come avrei reagito io se un collega di un'università inglese avesse chiesto di confrontarsi con me sul mio lavoro? Sarei riuscito ad essere altrettanto prezioso e disponibile, come lo sono stati loro?
9) molto spesso non ci rendiamo conto, proprio in prospettiva globale, del fatto che i problemi che fronteggiamo non soma mai o quasi mai dei casi unici. Qualcun altro, altrove, li sta affrontando. Questo dovrebbe farci capire che spesso, troppo spesso (parlo di casi ben specifici) ci sclerotizziamo sulla nostra soluzione, ragionando in maniera burocratica. Invece di chiederci "ma siamo sicuri che sia l'unico modo sensato di fare quest'operazione?"
10) se a tutto ciò si aggiunge che nel caso specifico ero a Londra, una delle città più incredibili del mondo, è facile capire quanto l'esperienza complessiva di vita sia notevolmente interessante. In tal senso è stata anche l'occasione di fare il punto su me stesso, di capire meglio chi sono. Un altro aspetto essenziale, in tal senso, è l'essere da solo, senza poter contare su nessun altro. Si cresce, umanamente e professionalmente. Come dice Caparezza "chi va a Londra, sa che al ritorno è un po' cambiato".

Panoramica della torre di Londra, con The Shard sulla destra



mercoledì 18 settembre 2013

Bretagna e Normandia: vacanza canina 2013


Eccomi qui, in colpevole ritardo, a raccontarvi la vacanza di quest'anno, che ha visto i vostri eroi esplorare il nord della Francia e più in dettaglio le meravigliose regioni della Normandia e della Bretagna!
Ecco un po' di impressioni sparse:


  1. Entrambe le regioni sono meravigliose. Stupende. Fantastiche. Hanno le loro differenze (riassumibili in: le chiesette sono più belle in Bretagna, le case sono più belle in Normandia) ma un grande fascino che le accomuna
  2. Fa freddo, sì. Ma meno di quanto mi immaginassi. Di giorno si sta bene in pantaloncini e maglietta. Di notte, no. Ma proprio no, per lo meno in tenda. Pile e sacco a pelo fin sopra la testa. 
  3. I francesi sono dei geni della promozione turistica. La spiego in maniera greve, così è più divertente, ma vi giuro che è verosimile. Immaginate un insignificante paesino, come per esempio Gerenzano, dove ho vissuto dai 7 ai 28 anni. Ecco se fosse in Francia (pronuncia: sgerensanò) e per avventura Napoleone fosse passato di lì, 10 km prima di arrivarci, trovereste enormi cartelli con su scritto: "visitate Gerenzano! Il paese dove Napoleone una volta è passato! Venite a vedere l'impronta del suo stivale, rimasta per 200 anni nel fango vicino alla discarica". Ecco, rende l'idea?
  4. Avete presente il mito dello sciovinismo francese? Il fatto che dicono ordinateur e non computer? Télécharger invece di download? Ecco, è tutto vero. Parli con qualcuno in inglese (e non intendo il panettiere, che potrebbe benissimo non sapere una parola d'inglese, intendo qualcuno che per esempio lavora alla reception di un campeggio...) e inevitabilmente ti risponde in francese. Speravo di allenarmi con la lingua in vista del mio settembre lavorativo nella perfida Albione (per inciso, sto scrivendo questo post da Londra :)) e invece mi è toccato togliere le ragnatele al mio francese-da-scuola-media per sopravvivere. Meno male che la professoressa Pini sapeva il fatto suo, e il francese me lo ha insegnato davvero bene!
  5. Sulla gestione canina i francesi sono avanti rispetto a noi di alcuni anni-luce. Ovunque il cane è ben accetto e benvoluto, considerato non-un-problema. Un esempio per tutti: non si può andare a Mont-Saint-Michel col cane, così al grande parcheggio dove bisogna lasciare la macchina è previsto uno spazio apposito di dog-sitting per non lasciarlo in macchina a cuocere da solo. Pazzesco!
  6. La cucina della zona merita. Ci sono alcuni piatti davvero super. Però, santa pace, è necessario per forza mettere così tanto burro ovunque? Voglio dire: in un singolo pain au chocolat non è obbligatorio mettere un intero panetto di burro! Ciò detto, il fatto che al ritorno la Yaris (detto tra parentesi: prima vacanza con la nostra Yaris HSD: spettacolo!) letteralmente scoppiasse di delizie che abbiamo riportato dovrebbe essere un buon indicatore di quanto abbiamo goduto di tali bontà. Ah, e il sidro? Ne vogliamo parlare? Molto, molto positivo! Parlando di cibo: ottime le galettes (crepes salate, fatte con farina di grano saraceno), eccellenti le crepes, ma il massimo della zona è il coquillage, piatti giganteschi di frutti di mare deliziosi. Il top in materia si mangia a Cancale, paradiso delle ostriche. Con lo sterminato piatto di oggetti misteriosi che mi hanno portato c'erano 5 tipi diversi di posate (compreso uno schiaccianoci, per rompere le chele dei granchi) una per ogni delizioso mostro marino. Il top? Secondo me le bulots!
  7. Bretagna e Normandia, essendo in Francia, sono posti decisamente costosi. Tutto costa più che in Italia, in certi casi sensibilmente di più. Noi abbiamo tendenzialmente mangiato in campeggio anche per questo motivo (ma soprattutto perché ad Anna piace molto mangiare in campeggio e anche io mi diverto a cucinare sul mio tecnicissimo fornellino, regalo della mia adorata sorella). Meravigliosa eccezione sono i campeggi: quelli municipali costano pochissimo e sono stupendi. Sempre puliti, sempre curati...servizi essenziali (ma a noi piace così) ma - per rendere un'idea - i prezzi oscillano tra i 12 e i 18 euro tutto compreso (intendo: tenda, 2 persone, cane, auto, elettricità. La medesima combinazione in Italia in un campeggio medio costa praticamente il doppio).
  8. Ci sono le foreste, ma quelle vere! Abbiamo trovato più di una zona con boschi fittissimi e affascinanti. Inoltre la densità di popolazione è bassissima rispetto all'Italia, ci sono molti spazi vuoti, infinite fattorie e una quantità spropositata di MUUUUUUUcche. Bello! Nel campeggio di Commana, di cui potete vedere una foto (nel mezzo di una foresta) i nostri vicini sono arrivati a bordo di...asini! Cioè, loro erano in vacanza con degli asini...ad Uran non è piaciuto molto averli come vicini e credo che anche i successivi ospiti di quella piazzola non abbiano apprezzato molto ciò che gli asini hanno lasciato in eredità!
  9. Se lo stereotipo vuole che i francesi non siano proprio un esempio rinomato di simpatia, questo non si applica in queste due regioni. Avete presente Bienvenue chez les Ch'tis (Giù al nord, in traduzione)? Ecco, normanni e bretoni sono davvero persone molto accoglienti e capaci di metterti a tuo agio. I paesini sono piccoli e tutti ti salutano con un "bonjour" quando li incontri, in campeggio tutti conversano con te e sono disponibili ad aiutarti. Un aneddoto per tutti: il primo giorno in Normandia un gelido vento ha fatto un buco alla tenda e rischiava di strapparla, e noi eravamo in giro da qualche parte e non in campeggio. Ebbene, i vicini si sono prodigati, hanno aggiunto picchetti e impedito la tragedia. Troppo bravi!
  10. I resti megalitici (presenti in gran copia in Bretagna) sono meravigliosi. Soprattutto se riuscite a trovarli: di solito sono indicati piuttosto male (a volte per nulla). Vale la pena, oltre ai ben noti siti di Carnac (impressionante) e della table des marchands di cercare la roche aux fées, che si trova ad Essé. Trattasi di un complesso di dolmen poco conosciuti ma che mi ha davvero colpito. Carnac invece è sconvolgente: guardando gli allineamenti si resta totalmente affascinati dal mistero di queste pietre gigantesche e pesantissime messe in successione. Perché? In quanti? Come? Molte domande affascinanti...
  11. Portatevi il navigatore! Certe stradine sono veramente misteriose...noi a volte ci siamo persi con il navigatore, non oso immaginare cosa avremmo fatto senza! Soprattutto se decidete di non battere la costa-costa (molta gente, traffico, campeggi pieni) ma di stare un po' verso l'interno. Nelle foreste tende a non esserci l'energia elettrica! Se però passate dalla Svizzera e il vostro navigatore (come tutti più o meno) segnala gli autovelox, nascondetelo per bene quando passate la frontiera: è infatti vietato farne uso in Svizzera. Sono strani beh...
  12. Il sentiero dei doganieri è indimenticabile, in tutte e due le zone. Si tratta di un sentiero esclusivamente pedonale che fiancheggia tutta la costa. In svariati posti meravigliosi, è possibile raggiungerlo agevolmente e farsi una bella camminata (portatevi l'acqua da bere). Consigliatissimo vicino al nez de Joburg, a Etretat (che lascia senza fiato, sia detto per inciso), vicino alle spiagge del D-Day, a Cap Frehel, a Carnac...insomma, più o meno ovunque!!! Panorami imperdibili sulle falesie, sulle acque calme o agitate del mare, distese infinite di fiori... 
  13. Le spiagge del D-Day. Pensavo non mi facessero così tanto effetto e invece mi hanno seriamente colpito. I buchi delle granate sono sconvolgenti, così come i bunker che costellano la zona. Il porto artificiale di Arromanches-les-bains vale la visita, lascia sconvolti per ciò che è stato realizzato e odora di salsedine e di eroismo. I cimiteri sono infiniti campi di croci, e il confronto tra quello americano (croci o stelle di davide bianche, una per ogni soldato ucciso) e quello tedesco (sassi neri, ciascuno dei quali indica 2 o 3 soldati) è doloroso. Le guerre si vincono e si perdono e ciò che Hitler aveva architettato è semplicemente orribile. Ma quei ragazzi sepolti li sotto, croci bianche o sassi neri, mi sono parsi tutti meritevoli di lacrime, vere vittime della storia. Pointe du Hoc, con i crateri delle granate...mi ha messo i brividi.
  14. Le Corbusier era un genio. Abbiamo fatto due deviazioni per andare a vedere Notre Dame du Haut a Ronchamp e Ville Savoye a Poissy. Ecco, due gite che valeva la pena fare. Soprattutto la chiesa di Notre Dame du Haut è semplicemente pazzesca. 
  15. Le maree. Io pensavo fosse un po' la solita esagerazione alla francese, figurati se davvero ci sono maree di centinaia di metri...Ecco, invece è tutto vero! Tra la bassa e l'alta marea c'è una differenza che è semplicemente impressionante. Le barche restano in secca, spiagge che non esistevano poche ore prima fanno la loro comparsa in pochissimo tempo, si rischia seriamente di restare isolati sulle scogliere se si è camminato lungo la spiaggia e questa sparisce, ci sono le sabbie mobili...impossibile da descrivere. Vi dico solo che quando siamo andati a Saint-Malo (a proposito, 5 stelle a questa città!) siamo passati su un'enorme spiaggia, kilometrica. E io dicevo ad Anna: "ma dai, non può arrivare il mare fino alle mura, è troppo lontano...". Andiamo a cena, torniamo, e la spiaggia non esiste più, il mare arriva sotto le mura. Wow!
  16. Le falesie. Impossibile non amarle! Dall'alto delle stesse o dalla spiaggia. Meritano. Soprattutto dal sentiero dei doganieri. Soprattutto quelle di Etretat, con l'arco di pietra (vedi foto).
  17. Nelle spiagge à-la-page il cane non è apprezzato. Ma trovare un po' di mare meno alla moda dove fargli fare un bel bagnetto è davvero facile. Gli spazi sono enormi, c'è posto per tutti. Anche posti molto frequentati come lo stupendo sillon del talbert (un misterioso sperone di sassi che per motivi idrogeologici a noi incomprensibili si spinge per circa 3,5 km nel mare, senza che la marea lo copra mai) si trova volendo un tratto di spiaggia dove il cane può farsi una bella corsa e un simpatico puccio. Certo, ci vuole coraggio...l'acqua è veramente gelida! A proposito del sillon de talbert: merita la visita, ma fatela con scarpe davvero comode. 3,5 km sui sassi scoscesi sono veramente faticosi. E quando arrivate, siete in mezzo al mare, collegati alla terraferma solo da questa sottile lingua di terra. L'unica cosa che potete fare, è tornare indietro!
  18. A tal proposito, il bagno è un'impresa quasi impossibile per l'uomo. A parte l'acqua fredda gelida, ci sono le correnti, le sabbie mobili, onde alte centinaia di metri, alghe giganti che ti vogliono intrappolare i piedi e trascinarti alla rovina...insomma, semi impossibile. Io ho fatto un solo mezzo-bagno a Kerlouan (in mutande bianche, vi risparmio la foto...), dove c'è una magnifica casa incastonata nelle rocce. Ma scordatevi l'idea di piacevoli tuffi e lunghe nuotate. I locali le fanno, ma con la muta!
  19. Cose buone che scendono lungo il gargarozzo: assolutamente necessario visitare una fattoria di quelle che produce cidre fermier (sidro di fattoria, ça va sans dire) e succo di mela (jus de pomme). Quest'ultimo è molto più aspro di quello che producono ad esempio in Alto Adige, ma è molto buono. Altra gita meravigliosa ed alcolica si può fare presso uno dei numerosi produttori di Calvados. Ti fanno visitare la cantina, ti spiegano tutto, ti fanno fare una degustazione ed inevitabilmente ti rovini economicamente... capisco ora perché l'Alligatore, il personaggio di molti romanzi noir di Massimo Carlotto ne sia così appassionato!
  20. Continuo a pensare che dire quattro-venti-quindici per dire novantacinque sia una follia. Non me ne vogliate, mes amis!
Foto del viaggio (nel 95% dei casi, il 100% di quelle davvero belle, fatte da Anna):